Femminile digitale

Contro la violenza sulle donne: la tecnologia come alleata, la cultura come sfida

today10 Aprile, 2025 5

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Molti dati ci confermano ormai da tempo che, purtroppo, in Italia, una donna su tre tra i 16 e i 70 anni ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale nel corso della sua vita. Eppure, la maggior parte di questi episodi non emerge, non viene denunciata, non raggiunge mai l’opinione pubblica. Il silenzio – imposto o autoimposto – è ancora la regola. In questo vuoto, la tecnologia sta emergendo come una nuova frontiera di resistenza e protezione.

La domanda resta: possiamo davvero affidarci agli strumenti digitali per cambiare una cultura ancora così profondamente patriarcale? La violenza non è solo fisica. È isolamento, è controllo, è sorveglianza. Ed è proprio la tecnologia che, in alcuni casi, ha alimentato forme subdole di controllo: app-spia, geolocalizzazione forzata, accessi ai social monitorati, messaggi manipolatori su WhatsApp.

Occorre, però, precisare che è dalla stessa tecnologia che oggi arrivano risposte concrete.

L’app 1522, attiva 24 ore su 24, permette di contattare operatrici specializzate in modo anonimo. La chat non lascia tracce, è immediata e sicura. Durante la pandemia, le richieste di aiuto attraverso questo canale sono esplose: segno che, quando le pareti domestiche diventano una prigione, il digitale può essere un’uscita di emergenza.

Un altro esempio virtuoso arriva dalla app YouPol della Polizia di Stato: nata per denunciare episodi di bullismo e spaccio, oggi permette di segnalare anche violenze domestiche – anche in forma anonima. E qui si apre un tema cruciale: la corresponsabilità sociale.

YouPol consente non solo alla vittima, ma anche a chi è testimone (vicini, amici, parenti), di rompere l’omertà. È un cambio di paradigma: la violenza sulle donne non è un “fatto privato”. È una questione pubblica. Di tutti.

Infine, a Roma è attivo un progetto pilota che fa da apripista a livello europeo: 21 smartwatch collegati in tempo reale con i carabinieri, distribuiti a donne in pericolo. I ‘Mobile Angel’ si attivano in caso di movimenti bruschi, rimozione forzata o segnalazioni manuali. Si parla di un presidio tecnologico che non previene la violenza, ma può salvarla in tempo reale. Ed è già successo. Questi strumenti devono essere parte di una rete più ampia. Non possono e non devono sostituire l’intervento educativo, la prevenzione culturale, la protezione istituzionale.

Anche le big tech iniziano a muoversi. Amazon, con Alexa, ha lanciato una campagna di sensibilizzazione: basta dire “Alexa, rompi il silenzio” per ascoltare contenuti informativi a cura della psicoterapeuta Stefania Andreoli. È un piccolo gesto, ma significativo. Porta la cultura del rispetto e dell’ascolto direttamente nelle case, negli auricolari, nelle stanze dove spesso si consuma il silenzio.

La tecnologia è un’alleata, ma non è sufficiente. Il vero problema è la cultura che normalizza la violenza, che educa le bambine alla sottomissione e i bambini al dominio. È la cultura che insegna a “non provocare”, a “non fidarsi troppo”, a “non uscire da sole”. È quella che minimizza, che deride, che giustifica: “era geloso perché ti ama”, “è stato solo uno schiaffo”, “ma non hai esagerato a denunciare?” La vera rivoluzione parte dalle famiglie, dalla scuola e dai media. Dai bar e dalle radio locali. Da ogni spazio in cui si può coltivare una narrativa alternativa.

In conclusione, si può certamente affermare che la tecnologia digitale è un salvagente, ma serve una rete fatta di istituzioni credibili, educazione affettiva, servizi accessibili, mezzi di comunicazione coraggiosi. E soprattutto, serve uno sguardo nuovo: capace di vedere la violenza dove ancora oggi non viene riconosciuta. Non solo quando è cronaca nera. Ma anche quando è una voce che zittisce, un controllo che limita, uno sguardo che spaventa. La violenza sulle donne non è un’emergenza. È un sistema. E come tale va smontato, pezzo dopo pezzo, insieme.

Elisa Spinelli 

Scritto da: Radio Glox


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