Paranza

Safari tuoi- bestiario italiano

today10 Marzo, 2025 8

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“L’Italia è il paese che amo”: così iniziava un celebre videomessaggio che ha cambiato gli ultimi trent’anni di storia del nostro paese. E come non condividere questo sentimento quando sui nostri schermi si accende ogni sera il più grandioso tra gli affreschi della nostra identità nazionale: Affari tuoi o, come lo chiamano le nonne, “il gioco dei pacchi”. Adattamento del format Endemol Deal or No Deal, fin dai suoi esordi nel 2003 venne proposto nella versione nostrana mettendo al centro le particolarità regionali, il folklore, l’atmosfera da fiera di paese tanto cara allo stile Bonolis, che allora con il suo gruppo di autori ne gestì la confezione.

Io, colpevolmente, negli anni l’ho perso di vista, preso dalle tante vuote incombenze della vita, cogliendo di sfuggita la parata di conduttori che stagione dopo stagione si sono succeduti. Poi ho capito. Tardi, ma ho capito.

È accaduto con Amadeus, quando una sera, per caso, ho visto un concorrente del Molise spiegargli che avrebbe tenuto il pacco numero 6 perché glielo aveva suggerito in sogno la nonna defunta, mentre lui lo ascoltava con la solennità di chi assiste alla dimostrazione del teorema di Fermat. È stato amore a prima vista, non ho più potuto fare a meno di nutrirmi ogni sera delle storie strappalacrime di tabaccai marchigiani in cerca di riscatto, estetiste friulane protestate, giovani coppie indebitate per la villetta shabby chic nella quale hanno deciso di invecchiare.

“Ci sono dei numeri a cui sei affezionato?” – chiede Amadeus con la faccia di uno che sta intervistando il direttore di Limes – “Beh sicuramente il 13 perché i miei nipoti hanno 5 e 8 anni, poi il 3 che è la data di nascita della zia di mia moglie che saluto”. E tutti seri. Ma attenzione, dal pubblico un tizio detto Lupo che è sempre in trasmissione e non si capisce quando vada a lavorare dice che statisticamente nel pacco del concorrente non ci possono essere premi importanti. “Ringrazio il dottore perché ventimila euro ci vuole un anno per guadagnarli ma rifiuto e vado avanti”. Applausi, canzone di Sanremo dell’anno precedente, qualcuno balla.

Una concorrente dalla Calabria parla in dialetto, l’altro dal Piemonte promuove il presepe vivente del suo paese, tutti dicono in bocca al lupo ai concorrenti perché in queste settimane hanno legato moltissimo e sono diventati amiche e amici per la pelle. Nel dubbio che l’Italia strapaesana non fosse abbastanza rappresentata, tra i premi il nuovo, recente regime della conduzione De Martino ha introdotto ogni giorno un diverso piatto tipico regionale, uno di quei piatti di cui comuni confinanti si contendono la paternità, che a Bubbolone sul Cerniglio si chiama strascinati alla maialona e a cento metri di distanza losanghine alla buttera, che poi alla fine è sempre la stessa pasta acqua e farina tagliata a caso con il sugo ma su cui si scatenano interpellanze, querele, assalti armati notturni.

È l’Italia della smorfia, del “mi dia anche un Gratta e Vinci che non si sa mai”, del saluto tutti quelli che mi conoscono. È l’Italia che speriamo povero nonno mi dia qualche numero, così uguale a quella che vedevamo in televisione negli anni Ottanta da illuderci che forse tutti questi anni non sono mai passati, e che se la accendi la sera, così come quando entri in Autogrill, non ci saranno sorprese: tutto sarà noto e rassicurante come una Rustichella scaldata male.

Giacomo Nencioni

Scritto da: Radio Glox


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