Un giorno sarebbe interessante se qualcuno, magari un neuropsichiatra, ci spiegasse quante notizie o informazioni, tra quelle che leggiamo o apprendiamo ogni giorno, rimangono effettivamente fissate nella nostra mente prima di sparire nel frastuono quotidiano.
A pensarci bene, ognuno di noi potrebbe fare il seguente esperimento: domandarsi quale informazione o notizia delle ultime settimane gli continui a ronzare in testa; potrebbe essere qualcosa di apparentemente insignificante, prosaico, ma che ci ha rivelato qualcosa, oppure ha aperto uno squarcio di riflessione su aspetti che davamo per scontati o su cui non ci eravamo soffermati.
Personalmente, nell’indistinto fluire di questi giorni investiti dal clima di festa, qualcosa ha attirato la mia attenzione: un trafiletto di cronaca riportato, poi, da alcuni quotidiani, che citava quanto scritto da un anonimo studente di Bari. Un biglietto scritto e poi lasciato, come tanti, su un albero natalizio della sua università: “Vivere è diventato estenuante, e non ho molta più voglia di farlo… Vorrei addormentarmi e non svegliarmi più”.
Ho letto, voltato pagina, continuato la lettura e la notizia si è fermata lì, nel mezzo, come tante altre, archiviata senza troppo rifletterci sopra; eppure, qualcosa ha continuato ad aleggiare nello scorrere di stimoli, interessi e curiosità e, così, nei giorni successivi, ho deciso di andare a ricercare la notizia, per vedere se ci fossero stati approfondimenti o se, magari, quello studente avesse abbandonato l’anonimato e si fosse fatto avanti, in qualche modo.
A pensarci bene, di quel biglietto, scritto e abbandonato come una bottiglia in mezzo al mare, non mi ha colpito l’ammissione di estrema fragilità, quanto la possibilità che ci fosse qualcuno che realmente avrebbe potuto ascoltare e accogliere il messaggio contenuto in quelle parole; forse perché la disponibilità al semplice ascolto mi sembra una pratica ormai archiviata rispetto a un tempo, quello attuale, in cui ognuno di noi privilegia la modalità del cercare e dare risposte quasi automatiche, che devono essere quanto più rapide possibili.
In quel biglietto, probabilmente, c’era solo una richiesta di ascolto, più che il desiderio di ricevere una risposta: un semplice ascolto che già contiene l’accoglimento e la condivisione di un grido d’aiuto. Di quel biglietto e di quel ragazzo molto probabilmente le cronache non ne daranno più notizia, ma le sue parole chiamano in causa ognuno di noi, spingendoci a crescere maggiormente nella capacità di ascolto reciproco piuttosto che nella volontà di fornire risposte senza troppa verifica. “Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità. Più che d’intelligenza abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà” gridò il grande dittatore di Charlie Chaplin; a lui si unisce il silenzioso grido dello studente anonimo e di tutti coloro che chiedono di essere ascoltati, firmando le loro urla con inchiostro trasparente.
Pierpaolo Burattini